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Assistenza domiciliare integrata: un servizio gradito ma ancora poco pubblicizzato, con grossi costi per le famiglie. Presentato il Primo Rapporto di Cittadinanzattiva sull’ADI.

Sempre più costi e disagi a carico delle famiglie, anche se esiste il servizio di assistenza domiciliare integrata. A sostenerlo, il primo Rapporto sull’ADI, presentato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato in un incontro tenutosi oggi a Roma.

Il rapporto è frutto di un lavoro che ha visto coinvolti, insieme a Cittadinanzattiva, Associazione italiana di oncologia medica, Associazione Infermieristica per lo studio delle lesioni cutanee, ANTEA Hospice, Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, Confederazione delle Associazioni nazionali di distretto, Ipasvi, Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, Federazione Italiana Medici di medicina Generale, in partnership con la GlaxoSmithKline.

All’indagine hanno partecipato 38 ASL di 14 regioni, 467 famiglie di cittadini utenti, 24 medici di medicina generale, 7 assessorati regionali alla salute.

Il 24,7% delle ASL interessate ha dichiarato di aver attivato un centro per l’ADI, ma risulta comunque centrale la figura del medico di famiglia: nella maggior parte dei casi, infatti, (60,0% risposte delle famiglie, 44,7% della media generale) è proprio il medico di famiglia ad attivare il servizio di Assistenza domiciliare integrata, così come a fornire alle famiglie le informazioni sull’esistenza dello stesso (57%, a fronte del 30% dei medici ospedalieri).

Nonostante il quadro possa sembrare sufficientemente rassicurante, il Rapporto mette in evidenza che permangono delle difficoltà per un’assistenza domiciliare qualitativamente efficace ed efficiente, e soprattutto rispondente alle esigenze dei malati cronici e al modello di gestione integrata delle cronicità. In particolare, facciamo riferimento ad alcuni elementi di qualità sui quali da anni le associazioni di malati cronici si stanno battendo, e cioè: la carenza di un’assistenza continuativa ed appropriata nel tempo; la mancata personalizzazione dell’assistenza; la scarsa equità nell’accesso alle cure; il mancato coinvolgimento delle famiglie e del paziente nell’assistenza e nelle decisioni socio-sanitarie.

Dai dati emerge inoltre la permanente mancanza di attenzione alla continuità assistenziale, uno dei fattori più importanti per i pazienti affetti da cronicità.

Infatti, risulta che ben il 65,7% delle famiglie non ha potuto contare su una reperibilità 24/24 h, dato confermato dalle stesse Asl, che nel 92,1% non garantiscono una reperibilità di tipo continuo; il paziente ha potuto contare su un’assistenza adeguata e continuativa da parte di un medico solo nel 47,8% dei casi (non sempre garantita nel 12,4%, decisamente inadeguata nel 25,7%).

Nonostante la letteratura affermi l’importanza di una vera personalizzazione delle cure, resta molto da fare, almeno sul fronte del turn over degli infermieri: più della metà delle famiglie dichiara che la figura infermieristica che assiste il paziente non è sempre la medesima, sottoponendo la famiglia a continue calibrazioni e il paziente a permanenti apprendimenti e riapprendimenti.

Altro dato importante è quello relativo alla terapia del dolore: quasi la metà dei pazienti intervistati (47,1%) ha dichiarato di provare dolore, ma solo il 59,5% di essi ha potuto contare su una terapia. Ciò si scontra con il dato dichiarato dalle Asl, secondo cui l’84,2% di esse possiede un servizio per la terapia del dolore. Ciò significa che il 40% di quanti hanno segnalato di provare dolore non ha ricevuto una terapia specifica.

Le malattie croniche continuano a rappresentare un grosso “fardello” economico per i singoli individui, le loro famiglie, i sistemi sanitari e la società.

Secondo quanto emerso dalla ricognizione, le spese sostenute dalla famiglia sono ancora molto elevate ed in particolare: i tempi di attesa per l’accesso ai farmaci essenziali, morfina o similari, sondino nasogastrico, catetere venoso centrale e ago cannula sono anche superiori ad un mese; quasi un terzo delle famiglie ha dovuto acquistare di tasca propria i farmaci necessari all’assistenza e ben il 22,9% ha fatto ricorso ad una badante per l’assistenza al paziente. Spiccano i costi telefonici ed energetici (fino a 200 euro al mese).

Di fronte a una situazione che, nonostante i notevoli passi in avanti, segnala ancora importanti fattori di criticità, “crediamo fondamentale la valorizzazione e preparazione del medico di medicina generale come figura centrale nella gestione globale del paziente, al fine di fare uscire dall’isolamento il medico di famiglia e favorire la sua partecipazione alla fase di valutazione dei bisogni del suo paziente”, ha dichiarato Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva. “Così come sarebbe auspicabile”, ha continuato, “la strutturazione, attorno alla figura del medico di famiglia, di un distretto forte, in grado di gestire la complessità del paziente affetto da cronicità, di fornire tutte le risorse professionali necessarie e di valutare l’efficienza e l’efficacia dell’assistenza offerta;la realizzazione di una rete in grado di proporre varie tipologie assistenziali e percorsi in base ai bisogni; il superamento del modello di assistenza domiciliare ad ore, ma bensì in base alle reali esigenze e necessità del paziente;la multidimensionalità delle équipe, che, secondo il piano assistenziale definito, lavorano per assistere in maniera integrata il paziente;maggiore formazione alle cure palliative e alla tutela del diritto a non soffrire;maggiore coinvolgimento e partecipazione della famiglia al percorso di cura”.

Redazione Online

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