Il 1 ottobre è stato presentato a Bruxelles il rapporto annuale sulla sanità in Europa di Health Consumer Powerhouse (HCP), un istituto privato con sede in Svezia il cui scopo è produrre informazione sui servizi sanitari con un approccio consumeristico per “Trasformare i pazienti deboli in consumatori forti”.
Questo rapporto ha avuto un’eco significativa in Italia perché il nostro Paese è passato in un anno dall’11° al 18° posto su 29 Paesi esaminati. Ne dobbiamo dedurre che il nostro Servizio Sanitario Nazionale, che festeggiava negli stessi giorni i suoi 30 anni, sia peggiorato tantissimo dall’anno scorso? O si può ipotizzare che, usando una matrice di soli 27 indicatori, la sostituzione di alcuni di essi abbia sensibilmente modificato i risultati?
Cosciente dei rischi inerenti a questo tipo di iniziativa, Cittadinanzattiva, che ha promosso e implementato dal 2003 al 2006 una ricerca sui Diritti dei Pazienti in 14 stati dell'Unione, si è rifiutata di pubblicare una “graduatoria” di questi Paesi, pur utilizzando una matrice di più di 170 indicatori. Così, le nostre conclusioni divergono sullo stato dei diritti dei pazienti in Europa, che il rapporto di HCP considera in continuo miglioramento.
La ricerca di Cittadinanzattiva ha invece dimostrato che, anche se un numero crescente di Paesi europei ha adottato una legislazione che protegge tali diritti, questo non basta per garantire la loro effettiva implementazione. Su 14 diritti della Carta europea dei Diritti del Malato (Diritto a misure preventive; all’accesso; alla informazione; al consenso; alla libera scelta; alla privacy e alla confidenzialità; al rispetto del tempo dei pazienti; al rispetto di standard di qualità; alla sicurezza; all’innovazione; a evitare le sofferenze e il dolore non necessari; a un trattamento personalizzato; al reclamo; al risarcimento), 8 hanno ottenuto un risultato sotto la media nei Paesi esaminati (i 15 “vecchi” paesi dell’Unione tranne il Lussemburgo).
Per quanto riguarda i dati sull’assistenza sanitaria in Italia il rapporto PIT Salute, che si basa su circa 20 mila segnalazioni di cittadini ogni anno, dimostra che gli italiani sono costretti a spostarsi sul territorio nazionale ma anche all’estero per avere accesso a terapie particolari, interventi chirurgici, riabilitazione, trapianto, fecondazione medicalmente assistita, ecc. Inoltre, alcune aree di assistenza del nostro servizio sanitario pubblico, come l’odontoiatria, la riabilitazione, l’assistenza farmaceutica per le malattie rare, l’assistenza domiciliare e la salute mentale, sono particolarmente deficitarie, il che impone ai cittadini l’assunzione diretta di elevati costi privati.
Roma, 10 ottobre
Francesca Moccia, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato
Charlotte Roffiaen, responsabile di Active citizenship network