Il Ddl sulla responsabilità professionale del personale sanitario continua il suo iter di approvazione in Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati ma una parte della strada che si sta tracciando finirà per penalizzare i diritti del malato. Si è ancora in tempo per rivedere alcune norme in esso contenute, visto che deve essere concluso il primo passaggio alla Camera dei Deputati e deve essere avviata la seconda lettura al Senato: si può e si deve fare. Ecco alcune tra le principali questioni da affrontare subito.
1. E' necessario fare chiarezza sui numeri
Mentre il ministro della Salute afferma che la medicina difensiva vale 13 miliardi di euro per il relatore del Ddl Federico Gelli la medicina difensiva vale 14 miliardi . Lo scarto è già di 1 miliardo e i conti proprio non tornano guardando al lavoro sul tema prodotto dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), che stima la medicina difensiva pari a 9-10 miliardi di euro . Lo scarto tra le diverse stime in questo caso è di 4-5 miliardi. Rispetto alla cifra dei 9-10 miliardi vale la pena puntualizzare come questa trovi il suo primo fondamento in un'indagine dell'Ordine provinciale dei Medici chirurghi e degli odontoiatri di Roma realizzata nel 2009/2010, quindi più di qualche anno fa e su un campione limitato di professionisti .
Questi elementi dimostrano che non c'è chiarezza e certezza sul volume preciso delle risorse attribuibili alla medicina difensiva e quindi come uno degli assunti che sta alla base del Ddl sulla responsabilità professionale sanitaria sia tutt'altro che pacifico. Del resto, analogamente, stessi dubbi sono stati avanzati con le ultime dichiarazioni diRaffaele Cantone, Presidente Anac, sulle cifre che in questi ultimi anni si sono attribuite al fenomeno della corruzione in generale e quella specifica in sanità .
Allo stesso modo l'allarme che è stato lanciato relativo alle innumerevoli e infondate richieste di risarcimento del danno da parte dei cittadini nei confronti dei professionisti sanitari, che è uno degli altri assunti alla base del Ddl, non coincide con la reale e corretta dimensione del fenomeno. È di qualche giorno fa ad esempio il dato diffuso dal Collegio italiano dei chirurghi dell'80% di assoluzioni in sede civile , mentre invece il dato Ania afferma come al contrario nell'80% dei casi le vittime di errori e o di malpractice ottengono invece un indennizzo. La stessa Agenas chiarisce con dati alla mano la giusta dimensione del fenomeno delle richieste di risarcimento del danno, smontando con i numeri l'allarme lanciato da più soggetti sulle innumerevoli richieste risarcitorie da parte dei cittadini : nel 2012 le richieste di risarcimento del danno sono state pari a 12.000 su 9 milioni di ricoveri e 1 miliardo di prestazioni specialistiche, quindi pari allo 0,0012%. L'indice di sinistrosità, ovvero la frequenza con cui si verificano malpractice che sono denunciate, è pari 13 su 10mila casi.
2. L'automatismo tra medicina difensiva e necessità di rivedere la normativa sulla responsabilità professionale non è così scontato
L'altro assunto alla base del Ddl e cioè quello che per dare risposta al fenomeno della medicina difensiva è indispensabile e urgente rivedere i profili civili e penali della responsabilità professionale non è così evidente andando ad analizzare i dati prodotti dall'Agenas . Dall'indagine Agenas “Medicina difensiva – Sperimentazione di un modello per la valutazione della sua diffusione e del relativo impatto economico” emerge che tra le azioni potenzialmente efficaci per ridurre i comportamenti di medicina difensiva per il 49% dei professionisti intervistati, e quindi per la maggior parte, è necessario attenersi alle evidenze scientifiche. Per il 47% degli intervistati potrebbe essere utile riformare le norme che disciplinano la responsabilità professionale. Quindi per 1 medico su 2. non è determinante il cambio della normativa per recuperare le risorse economiche distratte con la medicina difensiva. Ciò che invece accadrà sicuramente sarà uno stravolgimento del quadro normativo in materia di responsabilità professionale, che restringe l'esercizio dei diritti dei cittadini.
3. Se l'onere della prova si scarica sul più debole
L'articolo 7 del Ddl sulla Responsabilità professionale del personale sanitario sancisce che l'esercente la professione sanitaria risponda in sede civile ai sensi dell'art. 2043 del codice civile (responsabilità extracontrattuale), andando a scardinare e ribaltare quanto la Suprema Corte di Cassazione da circa 15 anni afferma e cioè: tra professionista e cittadino esiste un rapporto contrattuale da “contatto sociale”. Se sino ad oggi l'onere della prova era a carico del medico e l'azione risarcitoria da parte del cittadino poteva essere avviata entro 10 anni dal momento in cui si veniva a conoscenza del fatto, domani grazie al Ddl l'onere della prova è spostato sul soggetto più fragile e cioè il cittadino, con una tempistica per l'azione risarcitoria dimezzata e pari a 5 anni. Va detto però che se la responsabilità civile del personale sanitario fosse ricondotta ad ipotesi extracontrattuale quindi ex art. 2043 c.c., come vorrebbe il Ddl, potrebbe rimanere comunque onere del personale sanitario provare di aver agito senza colpa. Ciò in virtù del principio di “vicinanza della prova” principio giurisprudenziale che fonda il giusto processo. Il principio di vicinanza o prossimità della prova trova fondamento giurisprudenziale ormai consolidato nell'art. 24 della Costituzione che nel garantire il diritto di difesa e di agire in giudizio, contemporaneamente vieta di interpretare la legge in modo da renderne impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio.
Concretamente significa che chi ha più prossimità con la prova, al di là della qualificazione giuridica del rapporto, è onerato di fornirla nel processo. Nel caso della responsabilità professionale del personale sanitario ci si domandi, al di là di tutte le considerazioni possibili sull'asimmetria relazionale del rapporto medico paziente o sulla qualità della comunicazione /consenso informato, chi è in grado di fornire la prova di quello che è successo durante un intervento chirurgico, il personale sanitario o il paziente? se la risposta è il personale sanitario (com'è ovvio) il principio di vicinanza della prova pone a suo carico l'onere di dimostrare che l'intervento è stato compiuto con la dovuta diligenza.
4. Cittadini danneggiati in coda tra i creditori del Servizio Sanitario Nazionale
Il cittadino danneggiato, stando a quanto previsto dal Ddl, potrebbe agire civilmente nei confronti del personale sanitario o delle strutture sanitarie. Quest'ultime secondo il Ddl possono attivare delle auto-assicurazioni utilizzando risorse del proprio bilancio. Prevedendo questa possibilità, peraltro già realtà in alcune Regioni, non definisce però al contempo i meccanismi specifici per garantire l'effettività delle risorse allocate dalle strutture con proprie Delibere. Già oggi, stando all'esperienza della nostra Organizzazione, ci sono cittadini che, in alcune Regioni, in possesso di sentenze emesse dal Giudice che condannano la struttura al pagamento del danno cagionato non riescono ad accedere concretamente al risarcimento per mancanza di liquidità e fondi disponibili della struttura in auto-assicurazione.
In altre parole accade che a fronte di Delibere formali di attivazione di auto-assicurazioni aziendali o regionali non ci siano sempre materialmente i soldi per risarcire chi nella struttura ha ricevuto danni. La conseguenza è che il cittadino rischia di esser uno dei tanti creditori del Ssn, soprattutto in quelle Regioni in Piano di rientro dove la questione risorse è particolarmente calda. L'auto-assicurazione è una strada percorribile che risponde pienamente al suo obiettivo se affiancata da meccanismi di garanzia per l'effettività dei fondi allocati con delibera aziendale o regionale e se supportata da una politica forte di prevenzione e gestione del rischio clinico che sappia “imparare dall'errore”.
5. Trasparenza è sicurezza
L'obbligo di trasparenza previsto dal Ddl per le strutture sanitarie relativo ai contratti di assicurazione va nella direzione giusta, ma da solo non basta. Per i cittadini che hanno bisogno di cure è ancora più importante accedere in modo agevole a tutte le informazioni inerenti volumi di attività ed esiti, attività di prevenzione e gestione del rischio clinico, nonché indici di sinistrosità delle strutture e dei professionisti. Ciò non è un atto straordinario ma un obbligo previsto dalla Direttiva 2011/24/UE sull'assistenza transfrontaliera e diritti dei pazienti, recepita con Decreto legislativo n. 38 del 4 marzo 2014, ancora ad oggi disatteso. Peraltro possiamo contare sui dati del Piano Nazionale Esiti di Agenas, ancora non fruibili da tutti i cittadini, che nel 2017 analizzerà anche i dati per singolo professionista.
Questo editoriale è stato pubblicato in esclusiva su "Il SOle 24 Ore Sanità"