Terapia del dolore: dopo tanti proclami ancora troppo il lavoro da fare. Presentati i dati del primo monitoraggio sulla Carta dei diritti contro il dolore inutile di Cittadinanzattiva.
La terapia del dolore: dopo anni di discussioni, a che punto è l’Italia? Una prima risposta a questo quesito ci giunge dal Rapporto sul rispetto della carta dei diritti contro il dolore inutile, realizzato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato su un campione di 33 ASL, in collaborazione con ANMAR, ANTEA, FIMMG, SIAARTI, SIFO, SIMG, SIOT, SIR e l’ASO San Giovanni Battista della Città di Torino (Molinette) e con il sostegno della Grunenthal.
Meno del 10% delle realtà è risultato in grado di coprire tutti i livelli di terapia del dolore, mentre il 16% delle aziende interessate dalla ricerca sono risultate completamente sprovviste di servizi organizzati.
Inoltre, nonostante la prevista creazione (linee guida del 24/5/2001) dei Comitati senza dolore in tutti gli ospedali, oltre il 36% non ha ancora provveduto all’insediamento. Anche la fase della rilevazione di quanto provato dal cittadino è ancora molto carente: i reparti in cui la misurazione è maggiormente diffusa sono quelli di chirurgia, solo nel 51% dei casi. Scarsissima invece la diffusione di questa pratica nei reparti di oncologia, rianimazione e ortopedia (tutti e tre al 18,2%), pediatria e ostetricia (15,1%).
Per quanto riguarda il Pronto soccorso, nel 60,7% dei casi si effettua la rilevazione del dolore nella fase di triade del paziente, sebbene il 39,4% non abbia risposto alla domanda sul soggetto addetto a questa rilevazione. Ancora meno positivo poi il dato sulla somministrazione del farmaco, che solo nel 18,2% dei casi avviene in immediata corrispondenza con il momento del bisogno, mentre nel 30,3% entro 30’ dalla richiesta.
Passando invece all’ostetricia-ginecologia, il monitoraggio ha accertato la possibilità di accesso all’anestesia epidurale e se questo avvenisse gratuitamente. Solo nel 42,4 % delle strutture è disponibile questa terapia al momento del parto. Sebbene nella maggioranza dei casi il costo sia a carico delle ASL, si registrano situazioni in cui invece è a carico dei cittadini, per un valore di circa 650 Euro.
Tra i farmaci maggiormente utilizzati nella struttura ospedaliera, nella stragrande maggioranza si tratta di oppiacei deboli (84,4%), fans (78,8%) e paracetamolo (66,7%). In circa un caso su due (54,5) si fa ricorso a oppiacei forti. Completamente diversa invece la situazione delle cure nel territorio, in cui i fans la fanno da padrone (63,6%) e gli oppiacei restano fanalino di coda (21,2%). Dai dati emerge quindi che la possibilità di accedere alle terapie del dolore dipende quasi totalmente dalla discrezione delle strutture e degli operatori.
Un dato preoccupante riguarda poi le attività di formazione sul tema dedicate agli operatori, scese da un 45,4% del 2005 ad un 15,1% del 2006, indice di una diminuita attenzione al tema.
Le cure palliative risultano erogate prevalentemente in regime di day hospital o in fase di ricovero (rispettivamente 66,7% e 60,6%), mentre in poco più di un caso su due anche in assistenza domiciliare (57,6%) e solo in un terzo dei casi anche in hospice (30,3%).
Ancora molto da fare poi sul fronte dell’informazione ai cittadini: circa il 43% delle strutture non ha infatti mai realizzato o promosso alcuna iniziativa in questo senso.
Anche per quanto concerne gli interventi rivolti ai bambini, la strada da fare risulta ancora molto lunga: il 53% delle strutture ha dichiarato di aver previsto interventi ad hoc per diminuire il senso di paura e dolore dei bambini, ma risultano ancora inadeguati sia qualitativamente che quantitativamente: massiccio il ricorso alla semplice presenza del genitore (54,5%); segue la clown therapy (12,1) e la presenza di un infermiere (3%) o la pet therapy (3%). Inoltre, solo nel 36,4% delle strutture vengono adottate scale di rilevazione del dolore nel reparto di pediatria, e solo nel 24,2% dei casi si tratta di scale validate per la rlevazione del dolore proprio in età infantile.
“Le ASL non solo non sono in possesso delle necessarie strutture”, ha dichiarato Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva, “ma trascurano anche adempimenti abbastanza semplici, come la creazione dei Comitati per l’ospedale senza dolore, l’emanazione di linee guida o la formazione del personale. Nonostante gli appelli di più parti”, ha quindi concluso, “si fa ancora troppo poco perché si diffonda una vera cultura del dolore. Chiediamo che si adottino al più presto sistemi di rilevazione stabili e scientificamente validi, e che finalmente si riconosca il valore dell’attivismo civico, anche attraverso il riconoscimento ufficiale dei risultati prodotti dalle organizzazioni per la valutazione dei Direttori Generali e del lavoro delle ASL e degli Ospedali”.