Un milione di firme raccolte contro una legge elettorale iniqua, un referendum stravinto in difesa dell’acqua pubblica e contro il nucleare, milioni di donne in piazza per dire “se non ora quando”, politici di governo contestati ogni volta che mettono il naso fuori dal Palazzo, imprenditori, solitamente conservatori, sul piede di guerra, un susseguirsi di iniziative civiche su temi fondamentali come la difesa del welfare e la lotta al malaffare, alla corruzione e all’indecenza.
In realtrà l’Italia sembra diventata un paese dove ognuno – oggi anche io! – vuole dire la sua per manifestare il suo sdegno e la sua rabbia contro il malgoverno, una classe politica inetta e indifferente ed il continuo permanere di blocchi, interessi consolidati, rendite di posizione.
Nonostante questa vitalità, penso che come italiani abbiamo ancora due problemi da risolvere: crediamo poco in noi stessi e crediamo poco nei giovani, il cui dinamismo è indispensabile per cambiare l’Italia.
In un bel libro di Lucio Villari “Bella e perduta, L’Italia del Risorgimento” viene riportata una frase: “Ci sono popoli, come ci sono individui, che hanno tratto forza di rinnovamento dalla nausea di se stessi e del loro passato”. E’ di Benedetto Croce, che commenta il disgusto che indusse molti italiani a reagire alla Restaurazione dopo il Congresso di Vienna del 1814/15. Siamo in una situazione completamente diversa, ma la nausea è la stessa anche se riguarda soprattutto il presente. Allora ci furono persone, tutte molto giovani, che, a partire da questi sentimenti scrissero Costituzioni, articoli, libri, opere letterarie, canzoni, organizzarono confraternite, azioni simboliche, fino a vere e proprie insurrezioni. Ricordo Roberto Benigni qualche mese fa in televisione quando celebrando i 150 anni dell’Unità d’Italia raccontava di Goffredo Mameli, un ventenne che compose il nostro inno ed andò a morire durante la Repubblica Romana nel 49. Oggi ho l’impressione che dovremmo avere più memoria della nostra storia, di quanto siamo stati bravi allora e in tanti altri periodi del nostro passato. Dovremmo avere maggiore fiducia in noi stessi.
Dico questo perché ho l’impressione, comune a tanti altri, che per ricominciare ad essere orgogliosi del nostro paese e non vergognarci di noi stessi non basti cambiare solo il governo e mandare via Berlusconi. E’ il primo passo ma non ci assicura il cambiamento di un modo di gestire la cosa pubblica che ha radici profonde. Devono essere molte le cose da modificare: deve cambiare il sindacato che garantisce solo i garantiti (vi sembra normale che difenda un autista del bus che guida con il telefonino all’orecchio!); deve cambiare l’amministrazione pubblica, vessatoria nei confronti dei cittadini; devono cambiare le corporazioni professionali; devono cambiare le Università, così poco inclini ad accogliere nuovi saperi e nuove intelligenze, deve cambiare soprattutto la politica, che ha invaso tutto e vuole tutto, dimenticandosi sempre più spesso dell’interesse generale.
Questi cambiamenti dipendono anche da noi, da un rinato orgoglio civico che si fonda nella fiducia in noi stessi, nelle cose che possiamo fare per avere il paese che ci meritiamo. Sicuramente è necessario sostituire le persone che siedono in posti di responsabilità politica e istituzionale perché non ci possono essere incompetenti totali e buffoni o parlamentari da 7/8 legislature o funzionari pubblici a vita che hanno 2 o 3 incarichi riccamente retribuiti. A cascata tante altre cose possono cambiare: in primis serve che a tutti i livelli si lavori per dare spazio materialmente ai giovani, liberando risorse, opportunità, “posti”. Non per buon cuore ma perché abbiamo bisogno di loro.
Per ottenere tutto ciò servono gli italiani ed un aumento complessivo del loro impegno civico, ovunque questo sia possibile: sicuramente nella politica in senso tradizionale, ma anche nella cultura, nella gestione dei servizi, nella vita di quartiere, nel produrre informazione, nel fare al meglio il proprio lavoro, nel guardarsi attorno e costruire momenti di socialità, di aiuto, di solidarietà.
Villari nel suo libro fa un’altra citazione, del non sempre amato Nietzsche “Quando un popolo è politicamente malato di solito ringiovanisce se stesso e ritrova alla fine lo spirito che aveva lentamente perduto..La civiltà deve le sue più alte conquiste proprio alle epoche di debolezza politica”. Mi sembra che faccia proprio il caso nostro!
Teresa Petrangolini, Segretario generale di Cittadinanzattiva
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