Sui giornali si è cominciato a riparlare della questione spinosa del sequestro di Aldo Moro e dei comportamenti delle forze politiche sulla questione delle trattative. Per questo ho deciso di raccontare una esperienza relativa a quei tremendi 55 giorni che mi riguarda in prima persona. Io facevo parte di un gruppo di giovani, che aveva appena costituito il Movimento federativo democratico (oggi Cittadinanzattiva).
Decidemmo, poco tempo dopo il rapimento di Moro, di costituire un Comitato per le trattative.
Le motivazioni erano varie.
La più importante era rappresentata
dalla convinzione che per l'interesse generale del paese e per il futuro della nostra
democrazia fosse fondamentale salvare la vita di Moro.
In secondo luogo non accettavamo
il fatto che la sbandierata ragion di stato potesse essere più importante della vita di un
uomo.
In ultimo, Giovanni ed Agnese Moro militavano nella nostra organizzazione ed era
doveroso mettersi comunque dalla loro parte.
Ebbene, l'esperienza condotta ci ha dimostrato che nessuno, né nei partiti, né nel governo, voleva trattare per Moro. Andammo da Enrico Berlinguer, che come è noto era irremovibile, ma anche l'atteggiamento di Craxi, anche lui incontrato, non ci convinse: molta tattica e poca operatività.
La certezza di questa non volontà ce la dimostrò definitivamente un episodio. Circa venti giorni prima del tragico epilogo, contattammo la Croce Rossa internazionale a Ginevra per chiederle la disponibilità a fare da mediatrice per una eventuale trattativa.
Era un mestiere che aveva già fatto in situazioni difficili. Ricevemmo, dopo lunghe discussioni, il loro assenso e preparammo una proposta, da loro condivisa, da consegnare al Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, di cui purtroppo non ho più copia, ma che è protocollata presso la Presidenza. Inutile dire che non fummo mai ricevuti, non avemmo alcuna risposta e, con nostro grande dolore, nessuno ci contattò mai per sapere almeno qualcosa di più.
Quindi una strada c’era, ma non la volontà di utilizzarla. La delusione fece maturare in molti di noi un senso profondo di sfiducia nelle istituzioni, nella loro disponibilità ad aprire gli occhi e a vedere i problemi del paese. Da lì si rafforzò la decisione di scegliere di fare politica fuori dal Palazzo, di occuparsi dei diritti dei cittadini e della partecipazione civica. L'incapacità, dopo trent'anni, di affrontare in modo leale le vicende di allora, è purtroppo una riprova della validità dei nostri pensieri di allora.
Teresa Petrangolini
Segretario generale di Cittadinanzattiva