Il ddl anticorruzione passa al Senato e ora ritorna alla Camera per la quarta lettura. Certamente un risultato importante se si pensa al degrado della vita pubblica in questo momento storico. Il provvedimento è, da un lato, il frutto della maggiore autonomia del governo dei tecnici dalle pressioni delle diverse forze politiche, e, dall'altro, il frutto di una pressione molto forte da parte della società civile stanca di assistere allo squallore diffuso dei comportamenti degli ufficiali pubblici, siano essi politici o funzionari.
Alcune misure sembrano particolarmente efficaci: i protocolli di legalità obbligatori, il monitoraggio costante delle prefetture sulle aziende esposte al rischio di penetrazione mafiosa, la maggior tutela dei segretari comunali e provinciali, il divieto di collocare i pubblici impiegati condannati anche con sentenza non passata in giudicato in uffici deputati alla gestione delle gare di appalto (misura che serve ad ovviare la sostanziale disapplicazione della pena accessoria dell'estinzione del rapporto di pubblico impiego), la delega al Governo per la non candidabilità in organismi di rappresentanza politica di soggetti condannati per corruzione e reati similari.
Si tratta di misure che in qualche modo contribuiscono a creare un sistema di preallarme rispetto agli inizi dei fenomeni di corruttela. Ed è quanto suggeriva la Commissione Cassese già nel 1996.
Letta nel suo complesso, però, la legge approvata assume più un valore simbolico che reale, a causa delle numerose lacune che i diversi passaggi parlamentari non sono riusciti a colmare.
In primo luogo, non convince la formulazione dei nuovi reati. Per esempio, sono previste pene davvero minime per reati come il traffico di influenze. Ciò impedirà di condurre indagini approfondite attraverso, tra l'altro, l'uso delle intercettazioni. Il reato di corruzione fra privati – che serve a perseguire le forme di corruzione conseguite al processo di esternalizzazione dei compiti pubblici (società miste, consulenti, general contractor) - riguarderà solo i vertici delle strutture private e mai i quadri intermedi o i dipendenti: esattamente al contrario delle raccomandazioni del rapporto GRECO (il Gruppo degli Sati Europei contro la Corruzione).
In secondo luogo, nel provvedimento spiccano soprattutto gli assenti: non si accenna al ripristino del falso in bilancio né al reato di autoriciclaggio (fattispecie suggerite dallo stesso Fondo Monetario Internazionale) che incidono sui campi limitrofi della corruzione sistemica. L'evasione e i bilanci falsi servono a creare le provviste in nero prima della corruzione, il riciclaggio in tutte le sue forme serve a nasconderne dopo i proventi.
La Autorità Anticorruzione è individuata nella CIVIT, organo che non ha alcun profilo di indipendenza dall'autorità politica, privo di poteri ispettivi e sanzionatori, di profilo modesto sul piano delle competenze attualmente messo in campo e il cui ex presidente si è dimesso appena assunta la carica per vicende di speciale inopportunità , pur mantendendo il ruolo di membro del collegio. Difficilmente i whistleblowers – cioè i funzionari pubblici disponibili a segnalare comportamenti illeciti di altri colleghi – saranno davvero spronati a denunciare ad un ente di nomina governativa in un sistema complessivo in cui gli Organismi indipendenti di valutazione sono tutti occupati da colleghi dirigenti.
In verità, dunque, resta ancora molto da fare per questo Governo, a partire dal rendere immediatamente effettiva l'incandidabilità dei condannati in vista delle prossime elezioni.
Segnaliamo almeno quattro azioni concrete che il Governo dovrebbe fare subito per essere credibile: 1) rendere trasparenti gli atti della PA fin dalla loro formazione e, in particolare, rendere pubblici e comprensibili i bilanci di enti pubblici e partiti a tutti i livelli istituzionali, centrali e territoriali; 2) attribuire alla Civit (futura commissione anticorruzione) piena autonomia dalla politica e poteri ispettivi e sanzionatori reali, perché finché sarà così nessun dirigente pubblico sarà libero di denunciare episodi di peculato e malversazione; 3) allungare i tempi della prescrizione per i reati contro la pubblica amministrazione per garantire lo svolgimento dei processi e la condanna dei corrotti; 4) rendere sempre più diffuso il recupero delle risorse sottratte e poi la loro restituzione alla collettività, anche attraverso la confisca e l'uso sociale dei beni dei corrotti.
Ecco perché l'impegno dei cittadini per la trasparenza e la legalità non può diminuire proprio adesso.
Vittorino Ferla - Responsabile Cittadinanzattiva per la Trasparenza e la Legalità
Giuseppe Bianco - Magistrato, Procuratore della Repubblica, Firenze