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Editoriali

ilva taranto 2015 02 18

1. Reputa opportuna la decisione del Governo di ricorrere alla decretazione d’urgenza in un caso come quello dell’ILVA di Taranto?

Con il Decreto Legge 3 dicembre 2012, n. 207, «Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale», il Governo ha adottato un atto avente forza di legge ex art. 77 della Costituzione, sulla base della straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni volte «alla immediata rimozione delle condizioni di criticità esistenti che possono incidere sulla salute, conseguendo il sostanziale abbattimento delle emissioni inquinanti».

 

In merito alla scelta fatta propria dal Governo e concretizzatasi nell’adozione di un decreto legge, ossia di un atto avente forza di legge i cui presupposti risiedono nella straordinaria necessità e nell’urgenza di talune situazioni contingenti tali da giustificare un intervento tempestivo da parte del Governo,  non la reputo formalmente inopportuna dal punto di vista costituzionale.

Prescindendo dal contenuto del provvedimento, criticabile sotto svariati profili, non ritengo sussistano profili di dubbia costituzionalità quanto alla compatibilità del decreto legge in oggetto con la disposizione di cui all’art. 77 Cost.
Da questo punto di vista, occorre considerare come i presupposti giustificativi dell’adozione del decreto legge – la straordinaria necessità e l’urgenza – lungi dal costituire elementi suscettibili di una valutazione di tipo obiettivo, siano stati interpretati dalla giurisprudenza costituzionale come oggetto di una valutazione di opportunità politica da rimettere alla discrezionalità del Governo.
Detto altrimenti, la sussistenza dei suddetti requisiti andrebbe valutata da un punto di vista non esclusivamente oggettivo, ossia teso a verificare l’urgenza e la straordinarietà dell’evento, bensì anche di tipo soggettivo, attribuendo ai requisiti stessi natura politica.

In proposito, occorre rilevare come il controllo effettuato dal Giudice costituzionale in ordine alla sussistenza o, viceversa, alla mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e di urgenza si arresta ad uno scrutinio volto a verificare l’«evidente mancanza» dei medesimi, così ponendosi su un piano distinto rispetto al controllo svolto dalle Camere in sede di conversione.
Così, in proposito, si esprime la Corte costituzionale: «nell’affermare l’esistenza del […] proprio compito, [la Corte] è stata ed è consapevole che il suo esercizio non sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – ma deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l’assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto» (Cfr. Corte cost. sent. n. 171 del 2007. Nello stesso senso anche Corte cost. sent. n. 128 del 2008).

Altra è la funzione del Presidente della Repubblica, in sede di controllo, chiamato ad emanare il drecreto-legge, ad autorizzare la presentazione del disegno di legge di conversione alle Camere ed, infine, a promulgare la legge di conversione.
Nella complessità che caratterizza il dibattito dottrinale intorno alla ricognizione delle ipotesi di veto presidenziale all’atto dell’emanazione del decreto-legge, può essere ricordato il “caso Englaro”, quando alla base del diniego presidenziale di emanazione del decreto-legge, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva richiamato il «fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato» e la manifesta lesione di norme e principi costituzionali.

Se dunque, e conclusivamente su questo punto, può ritenersi costituzionalemente legittimo il ricorso alla decretazione d’urgenza, almeno sotto il profilo del rispetto dei presupposti di cui all’art. 77 Cost. (rectius,della necessità di provvedere), non lo stesso può dirsi in ordine ai due aspetti connessi al bilanciamento operato dal legislatore e agli effetti prodotti dal decreto quanto ai rapporti tra organi istituzionali.

 

2. Il DL prevede che in tutti gli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, individuati con DPCM, con oltre 200 dipendenti, il Ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare possa autorizzare, in via derogatoria per tre anni, la prosecuzione della produzione, «anche quando l’Autorità Giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento. In tale in tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell’autorizzazione, l’esercizio dell’attività di impresa..». Tale previsione, che pare attribuire al Ministro dell’Ambiente il potere di vanificare gli effetti di un provvedimento giudiziario di sequestro preventivo, può sollevare problemi sul piano della legittimità costituzionale, dell’equilibrio istituzionale e dei rapporti tra poteri dello Stato?

La previsione di cui all’art. 1, comma 4, del D.L. 207 del 2012, si espone indubitabilmente ad alcune criticità quanto al rispetto del principio della separazione dei poteri, nel caso specifico, tra potere giurisdizionale e potere legislativo, nonché sotto il profilo del rispetto delle attribuzioni che la Costituzione attribuisce al primo.

Con riferimento al mancato rispetto del principio della separazione dei poteri, ne costituisce dimostrazione tangibile la decisione della Procura della Repubblica del Tribunale di Taranto di sollevare, nei confronti del Governo, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale, affinchè dichiari che non spetta al Governo l’adozione di un atto amministrativo che ponga nel nulla l’ordinanza con cui venivano disposti il sequestro preventivo e la custodia cautelare dell’area su cui insiste lo Stabilimento della società Ilva s.p.a.

In proposito, e per inciso, può essere interessante ricordare come avverso tale ordinanza non sia stata proposta alcuna impugnazione, così precludendo la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale in via indicentale, con consequente formazione del c.d. “giudicato cautelare”.

E’, inoltre, di tutta evidenza come la norma di cui sopra, nell’incidere direttamente, e in negativo, sugli effetti del provvedimento cautelare disposto dall’autorià giudiziaria – che consente, quindi, la prosecuzione dell’attività d’impresa dello stabilimento tarantino –, si risolva in un impiego abnorme della funzione legislativa, esorbitante e lesivo delle attribuzioni del potere giudiziario.

Nello stesso senso, si inseriscono le argomentazioni alla base del ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Procura di Taranto, nonché le prime letture del provvedimento offerte da parte della dottrina, che si è espressa nel senso dell’equiparazione della previsione in  parola ad una sorta di “revoca legislativa” (Morelli).
Da questo punto di vista, del tutto pacifico è l’orientamento della Corte costituzionale in merito all’ammissibilità di un conflitto intersoggettivo che «non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (Corte cost. sent. n. 110 del 1970).

A questo riguardo, il punto maggiormente problematico investe il tema dell’ammissibilità di un conflitto di attribuzione originato da una legge o atto equiparato, inizialmente escluso dalla Corte costituzionale (Cfr. Corte cost. sent. n. 406 del 1989 – «non soltanto in vista della ragionevole esigenza di bilanciare la relativa latitudine della cerchia degli organi abilitati al conflitto fra poteri (non necessariamente organi costituzionali) con una più rigorosa delimitazione dell'ambito oggettivo del conflitto stesso. Ma soprattutto in quanto […] la sperimentabilità del conflitto contro gli atti suindicati finirebbe con il costituire un elemento di rottura del nostro sistema di garanzia costituzionale, sistema che, per quanto concerne la legge (e gli atti equiparati), e incentrato nel sindacato incidentale») per poi essere ammesso, con specifico riferimento alla decretazione d’urgenza, rispetto alla quale il Giudice costituzionale ha evidenziato come una simile limitazione nella garanzia costituzionale  «potrebbe […] dar luogo a prospettive non prive di rischi sul piano degli equilibri tra i poteri fondamentali. […] Rischi […] suscettibili di assumere connotazioni ancora più gravi nelle ipotesi in cui l'impiego del decreto-legge possa condurre a comprimere diritti fondamentali».

Su questi e altri aspetti, l’ultima parola spetterà alla Corte costituzionale, ossia all’organo costituzionalmente competente a dirimere i conflitti che insorgano tra poteri dello Stato, di cui occorrerà attendere il pronunciamento nei prossimi mesi.

 

3. A suo parere, il Decreto Legge in oggetto, potrebbe presentare profili di illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 32 e 41 Costituzione, sul diritto alla salute e sui limiti all'esercizio dell’impresa privata?

Un altro tema che può essere affrontato, con riferimento al decreto legge n. 207 del 2012, attiene al bianciamento operato dal legislatore tra principi costituzionali rilevanti nella fattispecie considerata.

Più in particolare, premesso che soltanto alla Corte costituzionale spetta il sindacato sulla conformità a Costituzione delle leggi e degli atti aventi forza di legge, può essere utile evidenziare alcuni profili di dubbia legittimità costituzionale del provvedimento in esame.

Un primo elemento di criticità può certamente scorgersi sotto il profilo della compatibilità di una norma che dispone la prosecuzione dell’attività produttiva di uno stabilimento altamente inquinante (art. 1, comma 4, D.L. n. 207/2012 e, con riferimento specifico all’Ilva s.p.a., l’art. 3, comma 2) con il diritto fondamentale alla salute dell’individuo, che la giurisprudenza costituzionale qualifica quale «diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati […] da comprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione» (Corte cost. sent. n. 79 del 1988).
Più specificatamente, a venire in rilievo è il diritto all’integrità fisica del singolo, ossia della «generale e comune pretesa dell'individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale» (Corte cost. sent. n. 218 del 1994).

Sotto questo angolo prospettico, la norma in esame si pone in un rapporto di dubbia conformità a Costituzione anche rispetto al diritto all’ambiente, ossia del diritto del singolo a vivere in un ambiente salubre, la cui protezione discende dagli articoli 9 e 32 della Costituzione  «come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività» (Corte cost. sent. n. 210 del 1987).
Sulla rilevanza del bene ambiente all’interno dell’ordinamento, è stato il Giudice costituzionale a precisare come quest’ultimo sia qualificabile quale «elemento determinativo della qualità della vita, la [cui] protezione […] esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce»  (Corte cost. sent. n. 641 del 1987).

Un terzo aspetto attiene alla costituzionalità della norma in esame rispetto al secondo comma dell’art. 41 Cost., che individua nell’utilità sociale, nella sicurezza, nella libertà e nella dignità umana i limiti all’iniziativa economica privata. Anche su questo punto, pare assai dubbia la compataibilità della norma rispetto al dettato costituzionale.

Tutto ciò premesso, spetterà alla Corte costituzionale, in sede di giudizio di legittimità costituzionale, verificare se risponda al canone della ragionevolezza il bilanciamento operato dal legislatore tra i principi costituzionali rilevanti nella fattispecie considerata (tutela del diritto alla salute e all’ambiente salubre con la tutela della libera iniziativa economica privata).
Detto altrimenti, se il sacrificio imposto a diritti fondamentali della persona, quali il diritto alla salute e all’ambiente salubre, possa considerarsi ragionevole e proporzionato rispetto alla finalità perseguita, ossia la salvaguardia dell’occupazione e della produzione di uno stabilimento di interesse strategico nazionale, come l’Ilva s.p.a. di Taranto (così, dal testo del D.L., n. 207/2012).
Un bilanciamento, peraltro, che non manca di presentare elementi di complessità se solo si considera il rilievo che un altro diritto fondamentale, ossia il diritto al lavoro, viene ad assumere nella valutazione compiuta dal legislatore e su cui il Giudice costituzionale – di recente investito della questione di costituzionalità sarà chiamato a pronunciarsi. [Così si legge dall’ordinanza di rimessione della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Taranto: «ritenuta la non manifesta infondatezza e la rilevanza, dispone trasmettersi gli atti alla Corte Costituzionale per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3 legge 231 del 24/12/2012, per contrasto con gli articoli 3, 24, 102, 104 e 112 della Costituzione nella parte in cui autorizza ‘in ogni caso’ la società Ilva spa di Taranto ‘alla commercializzazione dei prodotti ivi compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrate in vigore» del decreto legge 207/2012, sebbene oggetto di sequestro preventivo’»].

Da ultimo, la norma in esame (art. 1, comma 4 – ma analoghe problematicità pone anche l’art. 3, comma 2, D.L., n. 207 del 2012) potrebbe presentare alcuni profili di dubbia conformità a Costituzione anche rispetto ad altre disposizioni costituzionali, più specificatamente incidenti sulla disciplina dei rapporti intercorrenti tra poteri dello Stato e, di conseguenza, su uno dei pilastri fondamentali dello Stato di diritto, ossia il principio della separazione dei poteri.

In particolare, intendo riferirmi ai principi costituzionali che disciplinano l’esercizio della funzione giurisdizionale e, pertanto, agli articoli: 101, 102, 103 Cost.; l’art. 104 Cost., a garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura; l’artt. 111 Cost. a tutela del «giusto processo»; 113 Cost.; l’art. 112 Cost., a presidio del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Nel rapporto ormai di sempre maggiore interdipendenza che caratterizza i rapporti tra ordinamento interno e sovranazionale, potrebbe profilarsi un ulteriore profilo di dubbia legittimità costituzionale della norma considerata, per il tramite dell’art. 117, comma 1, Cost., con l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a tutela del diritto del singolo ad un processo equo e con l’art. 8 CEDU a cui la Corte di Strasburgo ha ancorato la protezione dell’ambiente (Cfr.  caso Lopez Ostra C. Spagna, 9 dicembre 1994).

 

4. Con specifico riferimento all’ILVA di Taranto, il testo del DDL di conversione licenziato dalle competenti Commissioni parlamentari sembra direttamente porre nel nulla gli effetti dei provvedimenti giudiziari adottati dalla Magistratura Tarantina, immettendo la Società ILVA SPA nel possesso dei beni sotto sequestro ed autorizzandola alla prosecuzione dell’attività produttiva. Cosa ne pensa in proposito?

Come già evidenziato nella risposta al quesito n. 2, le criticità che si pongono sul piano del rapporto e dell’equilibrio tra organi costituzionali e loro rispettive attribuzioni, si evincono non soltanto dalla lettera della previsione di cui all’art. 1, comma 4, del D.L. 207 del 2012, ma si ripropongono nei medesimi termini anche se si guarda al contenuto del terzo comma dell’art. 3, norma modulata ad hoc sulla situazione contingente dello stabilimento di proprietà della società Ilva s.p.a.

Ai sensi della disposizione di cui al terzo comma dell’art. 3, così come convertito con legge n. 231 del 2012, da un lato, si stabilisce che: «per un periodo di trentasei mesi, la società ILVA S.p.A. di Taranto è immessa nel possesso dei beni dell'impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di cui al comma 2, alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento», dall’altro, si consente la «commercializzazione dei  prodotti,  ivi  compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente  decreto».

Entrambe le norme, pertanto, incidono sui provvedimenti cautelari disposti dal Giudice per le indagini preliminari – custodia cautelare e sequestro preventivo, con provvedimento del 26 luglio 2012, e sequestro dei beni prodotti nell’arco temporale successivo al sequestro preventivo, con provvedimento del 26 novembre 2012 –, così pregiudicandone in modo diretto l’efficacia.
Conclusioni del tutto analoghe si evincono con riferimento alla lettera del comma 2 dell’art. 3, che demanda ad un provvedimento amministrativo – l’autorizzazione integrata ambientale – la definizione delle «prescrizioni volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto».

Anche in questo caso e senza riprendere integralmente le considerazioni già svolte in precedenza, è opportuno rimarcare la contrapposizione evidenziabile tra il contenuto del provvedimento cautelare e quello della norma contenuta nel decreto-legge, ad oggi convertito in legge. Un contrasto che appare interpretabile alla stregua di un’interferenza legislativa nell’esercizio del potere giurisdizionale.

Sul punto, la giurisprudenza costituzionale ha precisato come tale ingerenza sarebbe da escludere con riferimento a due ipotesi distine.
In primo luogo, quando a venire in rilievo sia «una disposizione di legge che appaia finalizzata ad imporre all'interprete un determinato significato normativo, in quanto la stessa, operando sul piano delle fonti, non tocca la potestà di giudicare» e, in secondo luogo, qualora «risulti che l'intento legislativo non è la ‘correzione’ concreta dell'attività giurisdizionale, ma piuttosto la creazione di una regola astratta» (Corte cost. sent. n. 374 del 2000).
Al contrario, un’interferenza del potere legislativo sarebbe da ravvisare in ipotesi di «incidenza, diretta ed esplicita, sul giudicato [che] esclude che la disposizione in questione operi soltanto sul piano normativo, poiché rivela in modo incontestabile il preciso intento legislativo di interferire» (Corte cost. sent. n. 374 del 2000).
Analogamente, la Corte costituzionale si è espressa nel senso che l’adozione di una legge-provvedimento – alla cui categoria è ascrivibile il provvedimento in esame  ­– impone l’osservanza da parte del legislatore di un limite «specifico costituito dal rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso» a cui si affianca «il limite generale costituito dal principio di ragionevolezza« (Corte cost. sent. n. 276 del 2007).

Venendo alla norma in esame, se, da un lato, è evidente come quest’utlima non possa essere acrtitta alla categoria delle regole generali e astratte, essendo piuttosto “modellata” sulle peculiarità del caso concreto, allo stesso tempo, altrettando può dirsi con riferimento alla non sovrapponibilità dei provvedimenti cautelari con il valore attribuito alla sentenza passata in giudicato.
Peraltro, nel caso che qui rileva, potrebbe trovare applicazione il principio da ultimo enunciato dal Giudice costituzionale, quanto al rispetto della funzione giurisdizionale in ipotesi in cui il legislatore sia o intenda intervenire nella disciplina di fattispecie oggetto di procedimenti giurisdizionali in corso.

Riguardo al tema da ultimo richiamato, sarà allora interessante attendere la decisione della Corte costituzionale, chiamata a venire incontro alle esigenze di chiarimento quanto agli effetti da conferire a disposizioni legislative successive, contenute in leggi-provvedimento, che incidano, privandoli di efficacia, su provvedimenti cautelari in corso e non coperti dalla garanzia del giudicato.

 

5. Con il Decreto Legge in oggetto si attribuisce forza di legge ad un provvedimento amministrativo quale la Autorizzazione Integrata Ambientale: cosa pensa in proposito?

A questo riguardo, ritengo opportuno soffermarmi su due aspetti.

Un primo aspetto è quello che vuole evidenziare la finalità che il decreto-legge n. 207 del 2012, convertito con legge 24 dicembre 2012, n. 231, conferisce all’autorizzazione integrata ambientale.
L’articolo 1, comma 1, del provvedimento stabilisce che: «il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non  superiore  a  36  mesi».
Con tale disposizione, pertanto, si mira a consentire che, anche nel silenzio della legge, venga disposta la prosecuzione dell’attività produttiva di uno stabilimento di interesse strategico nazionale – individuato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ­– attraverso l’adozione di un provvedimento amministrativo disposto dal Ministro dell’ambiente.
Sotto tale profilo, potrebbe discutersi della compatibilità tra la prosecuzione dell’attività produttiva di uno stabilimento altamente inquinante – disposta con provvedimento amministrativo – e le finalità a cui è ricondotta l’adozione del medesimo provvedimento, ossia la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento, l’eliminazione o la riduzione delle emissioni inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel suolo, il conseguimento di «un livello elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso« (Cfr., art. 1, Dlgs. n. 95 del 2005).
Si ripropongono, pertanto, le medesime perplessità già espresse in precedenza, quanto alla conformità a Costituzione della previsione normativa in esame – ossia quella che demanda al Ministro dell’Ambiente l’autorizzazione a disporre la prosecuzione dell’attività produttiva –  rispetto alle esigenze di tutela del diritto alla salute e all’ambiente salubre.

Prendendo le mosse da tali premesse, un ragionamento analogo potrebbe svolgersi con riferimento al rapporto tra il provvedimento amministrativo dell’AIA, che contenga una previsione volta alla prosecuzione dell’attività produttiva, e quelle previsioni del Codice dell’ambiente (Dlgs. n. 152/2006) che individuano nella «promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell'ambiente e l'utilizzazione  accorta  e razionale delle risorse naturali», lo scopo a cui informare la relativa disciplina.
Se è indubbio che il provvedimento amministrativo abbia fondamento legale, in quanto autorizzato dalla legge (da intendersi qui, legge di conversione), con ciò non ponendo problemi quanto alla sua legittimità dal punto di vista del rispetto del principio di legalità formale, un profilo problematico potrebbe eventualmente scorgersi sotto il profilo sostanziale con riferimento al rispetto dei principi in tema di tutela dell’ambiente contenuti nel Codice dell’ambiente e «adottati in attuazione degli articoli 2, 3, 9, 32, 41, 42 e 44, 117 commi 1 e 3 della Costituzione e nel rispetto degli obblighi internazionali e del diritto comunitario» (così, l’art. 3-bis, Dlgs. 152/2006).

Un secondo aspetto, strettamente connesso al precedente, attiene invece agli effetti che il provvedimento amministrativo dell’AIA determina, ossia la prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento e, pertanto, nel caso di Ilva s.p.a., la compromissione dell’efficacia dei proveddimenti cautelari disposti dall’autorià giudiziaria, su cui si è già avuto modo di esprimersi in risposta al quesito n. 4.

 

Marilisa D’Amico, Professore ordinario di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano
In collaborazione con Costanza Nardocci, Dottoranda di ricerca in Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano

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