È indubbio che la cosiddetta Riforma Brunetta rappresenti una innovazione rilevante per il sistema del pubblico impiego. Soprattutto sul piano della trasparenza e della lotta alla corruzione, dell'attribuzione della premialità secondo il merito, della valutazione delle performance. D'altra parte l'inefficienza della nostra P.A. viene considerata, anche dagli osservatori stranieri, uno dei fattori di arretratezza e di blocco allo sviluppo. Bene abbiamo fatto a darci una mossa. Finalmente diventa quasi ordinario - così dice lo Schema di D.L. di attuazione della Legge 15/2009 - che le amministrazioni rendicontino i cittadini circa i risultati del loro lavoro, che la valutazione avvenga anche sulla capacità di promuovere forme di partecipazione degli utenti, che il programma per la trasparenza e l'integrità venga concordato con le associazioni dei consumatori, che si rilevi il grado di soddisfazione e che ci sia la possibilità di adire a procedure di conciliazione di fronte a controversie con gli uffici pubblici. Per non parlare della lotta all'assenteismo, alle rendite di posizione, alla deresponsabilizzazione.
Noi che conosciamo molto bene la Pubblica Amministrazione nutriamo però dei dubbi sulla effettiva possibilità da parte degli utenti di incidere sulle valutazioni e sulle scelte. Infatti uno dei mali più profondi del sistema pubblico è l'autoreferenzialità che permette di nascondere i comportamenti più scabrosi - vedi l'ultimo scandalo della famiglia Mastella con l'occupazione dell'ARPAC campana -, ma spesso affligge anche i migliori: facciamo tutto da soli, ci autoriformiamo, consultiamo gli utenti, miglioriamo il servizio. Le faccette del sistema Emoticon, i questionari sul gradimento sono sicuramente un primo passo per aprirsi agli utenti, ma presuppongono sempre una amministrazione che fa e un cittadino che risponde. La palla resta sempre in mano al soggetto pubblico che promuove, valuta, decide. E poi si meraviglia e scandalizza perché i cittadini non hanno capito, protestano, non danno fiducia.
Il decreto indica organi di valutazione indipendenti che dovranno individuare strumenti e metodi per misurare la qualità dell'amministrazione e i risultati del loro lavoro. Tutto sta nell'impostazione che si vorrà dare alla Commissione per la valutazione nazionale e ai singoli istituti locali. Dipende da chi comporrà questi organi, da quanto recepiranno del "tesoro nascosto" di cui parla Pietro Ichino, di quell'immenso giacimento di informazioni sul funzionamento delle p.a.", nato e formalizzatosi in seno alla società civile. Purtroppo, ad una prima lettura, non ci risulta che sia previsto un coinvolgimento della cittadinanza.
Con gli utenti si dialoga, come è previsto in varie parti del provvedimento, ma restano sempre fuori dalla porta, quasi non si riuscisse a coniugare indipendenza e collaborazione.
In Italia esistono già molte esperienze, favorite anche dallo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica, di valutazione civica concordata con le amministrazioni e di partecipazione "competente" dei cittadini alla valutazione dei dirigenti. O tutto questo entra nel sistema di riforma o esse resteranno solo belle esperienze e belle volontà di rinnovamento. E ogni volta si dovrà ricominciare da capo.
Teresa Petrangolini
Segretario generale di Cittadinanzattiva