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Editoriali

Gli elementi che caratterizzano e rendono particolarmente inquietante la crisi italiana sono la ormai completa perdita di credibilità della rappresentanza politica e il venire meno della fiducia pubblica. È questa la debolezza che, ormai da mesi, i mercati stanno sanzionando duramente, a prescindere dai contenuti della manovra approvata ieri in via definitiva. 

La perdita di credibilità viene da lontano ed è stato aggravata da due fatti particolarmente evidenti: i continui rimaneggiamenti delle manovre, susseguitisi in questi mesi, che testimoniano della subalternità del governo e dell'intero parlamento, in primis delle forze di maggioranza, agli interessi corporativi e ai calcoli elettoralistici, e il modo irresponsabile, indecoroso e truffaldino con cui è stata trattata la questione dei costi della politica.

 

Irresponsabile, perché era indispensabile dare ai mercati un segnale forte sulla volontà della classe dirigente di fare sul serio: tale segnale sarebbe stato appunto un'immediata e sensibile riduzione dei propri emolumenti e la cancellazione di privilegi ormai inaccettabili. Non averlo fatto, insieme allo spettacolo squallido di approssimazione e incompetenza dato in questi giorni, sta esponendo tutto il Paese e l'Europa stessa a rischi di enorme gravità.

 

Indecoroso, perché, come hanno documentato molti osservatori, la somma dei privilegi insopportabili dei parlamentari (ma, anche, dei consiglieri regionali), di una riduzione non simbolica degli emolumenti e dei doppi stipendi, dei risparmi ottenibili con la razionalizzazione del funzionamento delle assemblee elettive, arriverebbe ad importi non trascurabili, di almeno un miliardo, paragonabili a quelli di altre voci della manovra che incidono pesantemente sulla vita dei cittadini.

 

Truffaldino, perché rinvia la riduzione dei costi a provvedimenti incerti nei contenuti e nei tempi di approvazione, senza peraltro mettere in campo una proposta seria, coerente e verificabile di ristrutturazione della rappresentanza politica.

 

Resta il fatto che la credibilità delle istituzioni democratiche e la fiducia pubblica sono beni comuni indispensabili, senza i quali è impossibile governare qualunque paese, e nessun attore sociale, in particolare la cittadinanza attiva, può sottrarsi alla responsabilità di operare perché essi siano ripristinati.

 

Bisogna, allora, liberarsi da due atteggiamenti, opposti ma ugualmente pericolosi, che lo stato attuale delle cose può facilmente alimentare. Il primo è quello di pensare di non potere fare nulla, a causa della evidente impossibilità di individuare, nell'immediato, obiettivi determinati, realisticamente perseguibili e, possibilmente, efficaci. Per un movimento ispirato alla concretezza, come è Cittadinanzattiva, questo dato di fatto è particolarmente pesante e rischia di indurre una sindrome di impotenza. Il secondo pericolo è quello di cadere in atteggiamenti velleitari e pensare di dovere/potere, da soli, elaborare idee vincenti e di attuare strategie adeguate.

 

È ragionevole pensare piuttosto che la gravità della crisi e l'entità delle sfide in atto inducano processi di cambiamento, sia pure difficili da prevedere e da interpretare, che potrebbero provocare, per quanto improbabile ciò possa oggi sembrare, anche un serio rinnovamento della classe politica.

 

Non è difficile, del resto, constatare che molti altri soggetti, cittadini singoli e associati, gruppi e organizzazioni civiche, intellettuali e ricercatori, società scientifiche e organizzazioni professionali, imprenditori e altri sono attivi e alla ricerca di soluzioni.
C'è un movimento che non ha (e forse non può avere) momenti visibili e organizzati di rappresentanza. Mancano anche sedi di dibattito pubblico in cui sia possibile un confronto organizzato e cogente. L'energia sociale, però, è in circolo: lo si può vedere nei social network, nella miriade di iniziative che, nonostante tutto, animano molti servizi e vari territori ed anche nei cambiamenti di tono di tanti commentatori. Anche nell'ambito più tradizionale dei partiti e delle forze politiche c'è chi si pone il problema.

 

Cittadinanzattiva non può sottrarsi, e non lo farà infatti, alla responsabilità di fare su questo la propria parte, rafforzando le proprie attività tradizionali, dalla tutela alla partecipazione, e intervenendo in un dibattito pubblico che, in questa fase storica, può essere decisivo per la ricostruzione e lo sviluppo dei beni comuni.

 

Alessio Terzi, Presidente di Cittadinanzattiva

Redazione Online

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