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Editoriali

Ci auguriamo, insieme al presidente Napolitano, che nei prossimi giorni il Parlamento riesca ad approvare la legge finanziaria e che questo sia sufficiente a parare gli attacchi in corso sui mercati finanziari. Ciò posto, la qualità della manovra proposta è pessima: i costi gravano quasi integralmente sui soggetti deboli e su una classe media già messa a dura prova dalla crisi, le misure più rilevanti sono sfacciatamente rinviate alla prossima legislatura e, soprattutto, dietro l’affastellamento di sforbiciate e nuovi balzelli, non si intravvede nessuna strategia.

I conti dell’Italia vanno male per almeno quattro cause ampiamente note: il servizio ad un debito pubblico spropositato, l’evasione fiscale, il peso della corruzione, i costi della politica.. Nei testi presentati non si trovano però misure pertinenti su questi problemi, anche soltanto di valore simbolico. Per esempio una imposta sui grandi patrimoni, da destinate direttamente alla riduzione del debito, avrebbe testimoniato la volontà di convocare tutto le energie del paese a fare fronte alla situazione, e non casualmente è stata avanzata anche in ambienti confindustriali. L’ammontare non sarebbe decisivo ma un miliardo di euro è pari al 50% del valore della manovra per il 2011 e sarebbe soltanto il doppio del risarcimento che Fininvest dovrebbe corrispondere a De Benedetti. La corruzione, secondo la Corte dei conti, incide per 60 miliardi e potrebbe essere sensibilmente ridotta con la collaborazione della cittadinanza attiva al regime dei controlli. Una seria lotta all’evasione è indispensabile per la ripresa dello sviluppo del paese.

La questione della politica non riguarda soltanto i costi (che peraltro non sono così marginali come vari commentatori sostengono). La politica ha una funzione “catalitica” nel bene e nel male: può essere un motore di sviluppo o al contrario indurre sprechi, dissipazione di risorse e, come è avvenuto da noi negli ultimi anni, stagnazioni melmose. Se l’Italia è sotto attacco, non è soltanto colpa di una crisi generale ma anche, e forse soprattutto, di un governo normalmente in altre faccende affaccendato, di una opposizione prevalentemente ripiegata sui propri problema e di una propensione condivisa a non lasciare spazi alla società civile e alla cittadinanza attiva. Se si pensa che fino a fino a qualche ora prima dell’inizio dell’attacco i ministri passavano il tempo a litigare e ad insultarsi in pubblico è difficile negare che esistono tutti gli estremi del licenziamento.

Per riproporzionare davvero i costi della politica significa bisogna considerare che le assemblee rappresentative non sono le uniche depositarie di una funzione che, nelle società moderne, è esercitata anche da altri soggetti, in primo luogo dalla cittadinanza attiva e utilizzare i numeri per comprendere la natura del problema.

Secondo Il Sole 24 ore (ricerca di Parente e Trovati) ammontano la politica costa  23 miliardi (cioè mezza manovra). Camera e Senato, per funzionare, spendono 1,7 miliardi che comprendono 218 milioni di vitalizi agli ex parlamentari, 98 milioni di rimborso delle spese e altre decine di milioni di benefit, fra cui 10 milioni per le cure dentali delle famiglie (nipoti compresi) di deputati e senatori. Le auto blu costano un miliardo l’anno, gli enti territoriali 8,6 miliardi, gli enti intermedi un miliardo e mezzo, i vari consigli di amministrazione e le consulenze esterne 2,5 miliardi rispettivamente. I rimborsi elettorali incidono per 180 milioni. Il valore della manovra è meno del 5 per mille di tutte queste somme ed è pari a zero per il 2011,.

In compenso le risorse per la cittadinanza attiva da alcuni anni sono sistematicamente ridotte e tagliate. Il servizio civile è ormai al lumicino, il sostegno pubblico al volontariato internazionale pure, vari fondi di supporto alle attività civiche sono sistematicamente ridotto. Sommando tutto si potrebbe scoprire che questi tagli rappresentano una percentuale non infima dell’importo della manovra per quest’anno.

Il confronto è del tutto sconcertante. E’ veramente difficile comprendere perché somme di questo tipo (tutto sommato contenute) non possano essere recuperate, in pochi mesi, nei costi di una politica che, come si è detto, meriterebbe il licenziamento. E’ del tutto evidente che i partiti piccoli e grandi ritengono di essere gli unici depositari di funzioni di governo che non sanno esercitare e per le quali hanno perso, come dimostrano ampiamente tutti i sondaggi, qualunque credibilità. Chi riesce, seriamente, a pensare che questa classe politica sia in grado di mettere mano a processi di grande complessità come la riduzione del debito pubblico, la lotta alla corruzione e la riduzione a termini fisiologici dell’evasione fiscale?

Il guaio è che, se non si mette mano, sul serio, a questi problemi, il paese è destinato a restare “sotto schiaffo” in una crisi generale epocale che sta mettendo a dura prova la sostenibilità di tutti i sistemi politici. La manovra convoca la cittadinanza attiva e la nostra organizzazione in particolare a uno straordinario esercizio di responsabilità: Difendere i beni comuni e la universalità dei diritti significa lottare per ristrutturare tutta la spesa pubblica accettando il perimetro generale delle riduzioni richieste per tenere in equilibrio i conti pubblici.

In questo contesto generale, la ristrutturazione dei costi della politica ha un valore strategico e non soltanto simbolico e deve favorire l’emergere di nuovi soggetti e di una nuova classe dirigente. E’ necessario impegnarsi per una progressiva riduzione delle spese improprie destinando metà dei risparmi alla riduzione del debito e l’altra metà allo sviluppo delle funzioni politiche esercitate dalla cittadinanza attiva.



Alessio Terzi, Presidente nazionale di Cittadinanzattiva

Redazione Online

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