Qualche settimana fa, dalle frequenze di Radio 24, senza equivoci, chiara come quella del bambino sui vestiti dell’imperatore, la voce di Massimo Cacciari, illuminato intellettuale di sinistra già sindaco di Venezia, si è levata ad indicarci il vero male da cui è affetta l’Italia: i suoi cittadini, la società civile.
Aldo Grasso, famoso critico televisivo, dalle pagine di Sette il magazine del Corriere della Sera, non ha mancato di congratularsi con la “verità quasi commovente” che l’illustre filosofo ha finalmente avuto il coraggio di dire, di urlare, anzi, come una liberazione.
Ne ha fatto oggetto di ulteriore riflessione, stabilendo un illuminante sillogismo che suona, più o meno, così: il pubblico è fatto “da venti milioni di teste di cazzo” (citazione da Ettore Bernabei, vecchio direttore generale della Rai), i cittadini sono stati resi pubblico da decenni di tv generalista… ne consegue l’inevitabile. Eccoci qui, svariati milioni di teste di cazzo.
Le parole dei due, ogni tanto, mi ritornano alla mente, nitide: mi è successo davanti alle immagini tratte dalle sedute parlamentari degli scorsi giorni così come dinanzi agli allucinati resoconti da Lampedusa o Manduria, nell’udire le barzellette, via via più “sapide”, del nostro premier, così come i giudizi che della nostra economia danno gli esperti internazionali. Effettivamente, dinanzi a tanta capacità di governo, di pianificazione delle emergenze, di capacità di essere dentro alla storia del momento, di programmare azioni efficaci, di avere pensieri alternativi come quelli che si addicono ai veri leader, di non esibire soluzioni facili e inutili, di mantenere sangue freddo, rispetto e decoro, di mantenere fede agli impegni presi, di tenerci alla coerenza… vien subito da pensare che Cacciari ha proprio ragione, il problema siamo noi cittadini di questo Paese.
Innanzitutto, è chiaro dal discorso del filosofo che la cittadinanza, come condizione comune di coloro che condividono un passato, uno status e un destino, non esista: noi cittadini siamo una categoria a parte, a parte dal Cacciari stesso, costretto per anni a sorbirci come “una rottura di palle”, dal Grasso e, immagino, da coloro che ci governano e che hanno a cuore, unicamente, i nostri interessi, pardon l’interesse generale. È chiaro che la Costituzione, con l’articolo 118 ultimo comma che ci riconosce la capacità di dedicarci, singoli o associati, a iniziative di interesse generale, su questo prenda un abbaglio: d’altra parte, chi non sa che è ormai da riscrivere completamente…
Noi siamo, dicevo, una categoria a parte, forse un po’ tonta, sicuramente un po’ stronza poiché interessata, unicamente, alla salvaguardia del proprio orticello, “incapace di distinguere ciò che nella vita di una città è una sciocchezza e ciò che invece è importante e grave”. Giusto: ma, nel dettaglio, quali responsabilità abbiamo rispetto all’innegabile deriva del Paese?
Un filosofo è attento alle parole e sono convinta che Cacciari abbia soppesato attentamente le sue quando, per esempio, ci ha definito “un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi”. Come dargli torto?
Come cittadina di questo Paese mi sento proprio un’infante. Infante è, infatti, una parola con una radice dal greco antico che indica chi non ha, perché troppo piccolo, capacità di parlare liberamente, chi non ha la possibilità di esprimersi. E, infatti, che possibilità ho di esprimermi io visto che una impresentabile legge elettorale, da anni, mi toglie il diritto di scegliere, o di non riscegliere, chi mi governa? E quanta voce hanno i cittadini di questo Paese per esempio nei media - tranne che non si macchino di delitti, questi sì, inenarrabili - per raccontare quello che fanno ogni giorno non soltanto per tirare avanti, ma anche per rendere migliore la vita di altri cittadini di questo Paese, quale eco per le organizzazioni del volontariato, della società civile, dell’impresa sociale? O, anche, quale rilevanza possono esercitare per esempio quando, dinanzi a un referendum che gli permette di pronunciarsi nuovamente su questioni sulle quali pure avevano detto la loro decenni fa, come quella del nucleare, si persegue un’azione scientifica di boicottaggio bocciando l’election day con uno spreco vergognoso? O quando le leggi fatte per favorire la loro partecipazione al governo della cosa pubblica, per esempio quella che istituisce la possibilità dei cittadini di valutare i servizi pubblici locali col sostegno delle istituzioni - il comma 461 dell’articolo 2 della finanziaria del 2008 - sono misconosciute dalle stesse istituzioni? O quando le leggi che, teoricamente, dovrebbero rafforzarne i diritti, come quella sulla class action o sulla mediazione, sono confuse o autoreferenziali tanto da rischiare di diventare ostacoli per gli stessi diritti?
E sì, Cacciari ha ragione a definirmi un’infante. Ma Cacciari ha ragione anche quando mi definisce incapace di arrangiarmi. Effettivamente io non ho nessuna ambizione di “arrangiarmi”. Tendo alla felicità, dovrebbe saperlo il filosofo, e quindi mi aspetterei un Paese in cui, anziché sperperare il denaro, tanto denaro, negli abusi, nella corruzione, nelle trovate sensazionalistiche, nel marketing della politica, nella voracità di molti di coloro che manovrano i fili, quegli stessi denari li si utilizzasse per il futuro dei nostri figli, per la ricerca e l’arte, per l’energia pulita e sostenibile, per la raccolta “porta a porta” dei rifiuti, per la prevenzione delle malattie, per le ricerche sul rapporto fra salute e ambiente, per la messa a norma delle scuole, per la tutela dei veri invalidi e i controlli sui falsi, per il funzionamento della giustizia e dei tempi nei quali essa viene riconosciuta, perfino per l’accoglienza dei “nuovi” cittadini (ma, giusto, già ce n’è abbastanza di “rompipalle” vecchi).
Effettivamente, i cittadini sono incapaci di arrangiarsi. Forse perché, spesso, capita loro di fare la propria parte, con fatica, con difficoltà, ogni giorno, e, probabilmente, vorrebbero che ognuno facesse la propria. E a volte sì, capita che siano “stanchi, esausti, isterici e nervosi”. D’altra parte, al contrario di quel che è permesso ad altri, non sono nelle condizioni di organizzare neanche un’allegra festicciola per rilassarsi un po’.
Anna Lisa Mandorino, Vicesegretario generale