La medicina d’urgenza sembra essere uno dei settori in cui più si discute di errore medico. L’impatto tra medici e cittadini nei Pronto Soccorso è sicuramente uno dei punti di crisi e di conflitto più accesi e persistenti. Milioni di persone si recano ogni anno, anche impropriamente, presso i servizi di emergenza, sicuri di trovare la soluzione ai loro problemi di salute e soprattutto di avere risposte certe, accessibili e veloci.
Come è noto, non sempre questo avviene per inefficienze del sistema, per scortesie del personale, per inadeguatezza delle strutture e a volte purtroppo per mancanza di professionalità di chi vi opera. Tutto si riversa nei nostri Pronto Soccorso, che rappresentano l’avamposto e il porto di mare della sanità italiana. Di qui i conflitti, le liti e le denunce dei cittadini.
Per studiare questo fenomeno l’Acemc (Academy of Emergency Medicine and Care) ha condotto una ricerca ed aperto un confronto che il 29/30 ottobre ha coinvolto medici, giuristi, decisori e cittadini. La ricerca, condotta in collaborazione con il Dipartimento di sociologia dell’Università di Milano-Bicocca, riguarda il problema della medicina difensiva nell’urgenza. Il dato interessante, comune a ricerche condotte in altri paesi, è che più del 90% dei medici intervistati dichiara di condurre pratiche di medicina difensiva, mediante la prescrizione di esami di laboratori e consulenze specialistiche non necessarie, esami invasivi inutili, ricoveri “forzati”. Tutto questo per timore di un contenzioso medico legale, di una richiesta di risarcimento, di ricevere una pubblicità negativa. A temere di più sono i medici più giovani, che magari si trincerano dietro la medicina difensiva, per la paura di ricevere denunce proprio all’inizio della propria carriera. La ricerca si conclude con una riflessione finale: se si continua a gestire il problema degli errori mediante un impianto accusatorio, dove la cosa più importante è trovare la colpa del singolo, sarà sempre difficile istaurare una cultura del reporting, vale a dire una pratica che consenta di registrare gli errori, denunciarli senza paura di ritorsioni, di intervenire per rimuoverli, e così via.
Su questo tema si è aperto un dibattito che ha coinvolto anche Cittadinanzattiva e quindi il punto di vista dei cittadini. Ci si è domandati: come mai l’emergere di questa gran paura, proprio in un’area nella quale le denunce dei cittadini sono scarse? Dai dati del Rapporto Pit salute 2008 emerge infatti come le segnalazioni che hanno per oggetto il Pronto Soccorso siano solo il 2,5 del totale, superate di gran lunga da aree come l’ortopedia, la ginecologia, l’oncologia. In sostanza molti medici praticano la medicina difensiva, convinti di essere già sotto accusa, mentre i cittadini non vedono nei Pronto Soccorso i luoghi privilegiati per le loro azioni di denuncia. Probabilmente è necessario lavorare per incidere sulle percezioni, sulle opinioni, sui pregiudizi, che non riguardano solo i cittadini, spesso accusati di voler per forza mandare in galera i medici, ma anche i sanitari stessi, che rischiano di vedere nell’utente-paziente un nemico da combattere e non un soggetto debole da curare.
Per superare questi problemi bisogna innanzitutto distinguere: gli errori gravi, le negligenze, gli abusi, devono comunque essere puniti, usando i mezzi messi a disposizione dalle leggi. Esiste però un’area grigia che corrisponde a quel 44% di segnalazioni di sospetti errori, registrate nel Rapporto Pit, che non portano all’avvio di azioni legali proprio perché non si tratta di “errori” da portare davanti al giudice, ma di espressioni del disagio del cittadino di fronte ad una sanità che non ascolta, che non comunica, che resta ancora troppo disumana.
Esiste quindi un enorme campo di lavoro che riguarda lo sviluppo della cultura della sicurezza, che non può che nascere da una alleanza tra medici coscienziosi e cittadini attenti ad avere una sanità che funzioni. Si tratta di cambiare i comportamenti, di istaurare la pratica del reporting, di migliorare l’organizzazione e la competenza.
Può valere a questo proposito riportare i dieci principi cardine – oggi quantomai attuali - di una cultura della sicurezza che Cittadinanzattiva, assieme ad Anaao-Assomed e Fimmg, inserì nel 2001 nella Carta della sicurezza nella pratica medica ed assistenziale.
1.Nulla può essere lasciato al caso
2.E’ necessario investire in sicurezza
3.I rischi devono essere dichiarati
4.Lo scambio di informazioni aumenta la sicurezza
5.Garantire l’appropriatezza riduce le probabilità di errore
6. La qualità delle prestazioni deve essere valutata attraverso indicatori di esito
7. La comunicazione tra medico e paziente è parte integrante dell’atto medico
8. Il valore della critica e dell’autocritica
9. La verità deve essere premiante
10. La formazione è l’arma della sicurezza
Teresa Petrangolini
Segretario generale di Cittadinanzattiva